Triunità di San Michele Arcangelo

Triunità di San Michele Arcangelo

by Michela Giacon, Venezia 2024
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Mikha-el  Custode della Soglia

Il titolo dell’opera presenta il significato dell’antica parola ebraica “mikha-el”: “michele” vuol dire “forza di Dio”.  E l’Arcangelo qui infatti compare nel suo aspetto o prerogativa di guardiano armato di spada, custode della Sacra Soglia, fiammeggiante torcia di Dio posta a rischiarare l’indifferenziato e indeterminato  mondo dell’ombra. Il suo fulgore si batte per riportare l’Anima alla Luce.

Il Sole gli deflagra nel capo espandendosi in raggi concentrici in gradazione giallo-arancio, pennellate che Grazia ha impresso sulla tela guidata da un evidente furor artistico, creando un forte contrasto tra l’estrema luminosità del giallo e i toni del grigio-nero, che quegli stessi segni in diagonale proseguono.

Michele illumina e custodisce la Soglia e le anime dei trapassati e, – come ricorre nella nota iconografia –, assolve al compito di pesarle affinchè vengano fatte confluire nella zona dell’ al di là ad esse spettante.

Senza avvalersi della retorica del linguaggio e delle sue forme sostitutive, quali la metafora, Grazia Azzali si serve direttamente della potenza dell’apparizione epifanica: rende a noi visibile una dynamis aoratos, una potenza invisibile associabile, nella particolare visione e  nell’orientamento filosofico-culturale dell’artista, al principio alchemico-misterico della tradizione ermetica.

L’Arcangelo Michele si identifica così col principio maschile “yang”, secco  e igneo, rifulgente d’oro filosofale,  il triangolo col vertice rivolto verso l’alto: il Sole, la divinità misterica Osiride. Divinità opposta e complementare rispetto all’immagine della Luna-Iside, il principio femminile “yin”, triangolo col vertice rivolto verso il basso, esprimente l’oscurità umida e fredda, la Notte, le Acque.


Fantàsima

Ed ecco apparire, nella seconda e centrale opera di questa “triunità”,

l’altro tipo di dynamis, l’altra faccia d’un astro, quella appunto oscura, opposta e complementare al Sole-Michele: una Dea Madre selenica, abbozzata con potenti segni bianchi e d’un argenteo azzurrastro e verdastro sul fondo grigio-nero dell’Abisso, il colore del Piombo, cioè della materia prima d’ogni passaggio dell’Arte Regia di trasformazione alchemica.

Tra le mani l’entità, in postura d’ambigua rotazione astrale, regge la Luna, simbolo della più antica e occulta sapienza, e vi infonde il non detto della formula magica.

La figura che ci mostra Azzali è un “fantàsima”: più sottilmente di “fantasma”, il termine scelto dall’artista vuole alludere alla natura di vapore di quest’epifania che appare e scompare in perpetuo cupio dissolvi, vapore che sale dai flutti d’argento – segni dell’Anima – di cui è composta, ossia l’andare e il venire delle maree secondo il moto di Selene, la dea della Luna.

Ma nella sua rotazione, ci indica l’artista, l’imago si è comunque rivolta verso il Sole: i raggi della torcia solare la investono riverberando d’oro i suoli capelli e rendendo visibili così sia l’argento sia l’oro, entrambi i metalli preziosi della trasmutazione alchemica.

L’ ”Opera al Bianco” veicolata dalla Donna-Luna Madre delle Acque, “Donna dei filosofi”, “Fontana d’Acqua Viva”, rappresenta la polarità femminile nel binomio alla radice delle origini del cosmo, e, ci suggerisce Grazia, si situa dunque alle origini di un’altra forma di creazione di cui invece disponiamo noi umani: la creazione artistica  del mondo e dell’arte forgiata dagli artisti sciamani e demiurghi.


Il mio nome è Rosso

Eleggendo a titolo di quest’opera il titolo di uno dei più famosi romanzi del premio Nobel per la letteratura Omar Pamuk, Grazia Azzali vuol mandarci un importante messaggio filosofico e culturale.

La magia all’origine della creazione degli elementi della natura e delle cose sta nella loro nominazione primigenia: il segreto sta nel nome.

Le cose sono state create e divenute vive perché nominate da Dio, secondo l’Antico Testamento; perché nominate dall’artista, nella storia dell’arte moderna e contemporanea, a partire dalle avanguardie storiche del secolo scorso di cui è stato maestro Marcel Duchamp, autore dei ready-made; concetto ribadito da Michel Foucault in Les mots e les choses (1966).

Ricordiamo che sulla nodale tematica del nome del colore richiamata qui dall’artista, ha dissertato Ludwig Wittgenstein nel suo fondamentale Osservazioni sui colori – Una grammatica del vedere (1950-51).

L’entità numinosa che Grazia Azzali ha evocato con furor creativo e gestuale in questa terza opera della Triunità di Michele Arcangelo è un grande Arcangelo Rosso,  materializzato tramite la stesura pittorica selvaggia, e al contempo accortamente sapiente, d’un fondo rosso rame ottenuto utilizzando proprio il vero metallo, rame in polvere: allusione al processo di trasmutazione alchemica dei metalli. Tale fondo di rame appare ravvivato all’interno da violente, spesse e impressive pennellate di bianco e da ”traforature” che lasciano intravvedere il nero di un ulteriore fondo retrostante; nonchè da alcuni tocchi della tinta complementare verde smeraldo ai due lati in basso, in un contrasto evocante in declinazione astratta le opere della serie Angeli ribelli di Osvaldo Licini.

Il Rosso sta a indicare l’Opera al Rosso, la seconda e finale fase del processo ermetico-alchemico.  La prima fase, l’Opera al Bianco, è emblematizzata dall’opera Fantàsima, nella quale anche il principio maschile del Sole risulta attivo, avendo donato riflessi aurei ai capelli della donna-dea lunare.

Ma qui Grazia Azzali va oltre arrivando all’ardito Rosso, aggiungendo cioè Fuoco al fuoco nel crogiuolo della materia pittorica, coagulando il magma metallico sulla tela con movimenti fiammanti del pennello, a generare textures ed andamenti incrociati e contrapposti nei quali si fondono  segni in positivo e in negativo.

Il rosso dell’Arcangelo è il rosso delle vesti di San Michele nell’iconografia tradizionale, ma anche il color cinabro dello Spirito, secondo la dottrina ermetica; e la tinta di cui vestiva l’iniziato regale, avvolto nella porpora tiria, appannaggio dei sovrani e delle più alte cariche sacerdotali.

L’Arcangelo, ci dice dunque l’artista, è Rosso in relazione a una concezione suprema dell’immortalità dell’anima.


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