Fenomenologia della luce

Fenomenologia della luce

by Carolina Lio, Padova 2012
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La ricerca artistica di Grazia Azzali si colloca a metà tra la pittura e la fotografia, ma in modo totalmente inedito in confronto alle commistioni di genere che siamo già stati abituati a vedere. Quando si parla di convivenze tra pittura e fotografia la prima cosa a cui si pensa è, infatti, ad una stampa fotografica che viene coperta in modo più o meno predominante dalla pittura, ma dove ognuno dei due mezzi ha di fatto vita propria, il proprio momento dell’azione e la propria identità. Grazia Azzali, invece, confonde le due cose in un unico gesto, non utilizzando di fatto né la fotografia né la pittura propriamente intesi.

L’operazione è pittorica, c’è la gestualità e il movimento dell’impressione del colore sulla tela, ma il mezzo è uno strumento fotografico. In definitiva il supporto su cui si compie l’azione è l’emulsione, ovvero la soluzione gelatinosa fotosensibile che viene depositata sulla pellicola. Su di essa la luce viene dosata e depositata come se si trattasse di un colore ad olio, creando una composizione tonalità oro su uno sfondo cieco.

Il risultato finale ha della fotografia la componente scientifica dell’utilizzo della chimica, e della pittura il gesto manuale dell’imprimere una superficie su un’altra superficie per creare un’immagine che prima era solo mentale. E in effetti, benché a prima vista il risultato sembri un’astrazione, un puro gioco di filature dorate su uno sfondo nerissimo, a debita distanza dall’opera le figure ricompongono dei soggetti intricati, distorti, viscerali, ma riconoscibili. Sono fate, barche, paesaggi marini, visioni del firmamento, vegetazioni notturne e altri elementi che insieme concorrono a ricreare una cosmogonia fantastica e quasi epica.

È un mondo delle favole che vive in una dimensione perennemente notturna, che si interseca con la magia, con il corpus delle leggende e dei miti più antichi, con l’alchimia e l’esoterismo, impregnato di mistero e allo stesso tempo di rivelazioni, di scoperte che appunto mettono luce dove c’era il buio sotto forma di un messaggio che si rivela essere un’intera e complessa dimensione di senso e bellezza.

Il processo chimico reso dell’emulsione fotografica dà due vantaggi netti su qualunque altro mezzo. Il primo è l’esclusività di una tecnica che Grazia Azzali utilizza per la prima volta e con una padronanza che le viene da un ventennio di sperimentazioni. Il secondo è questo connubio tra il buio e la luce in assoluto, come nessun colore pittorico o fotografia dal reale riuscirebbe mai a ricreare. Dalla totale tenebra emerge una fonte luminosa che muovendosi velocemente ricrea un disegno al suo passaggio e che soprattutto resiste fisso e non si dissolve, non sfuma e anzi, diventa sempre più netto è significativo.

Il fatto che tutto questo accada a un livello chimico, rende l’opera non una rappresentazione della realtà, ma un fenomeno reale di per sé, qualcosa che non è né riproduzione della natura, né imitazione, ma una vera e propria nuova natura.

E se questa cosmogonia dai tratti gotici ed epici riesce così bene è ovvio che non è solo per una capacità del “saper fare”, ma anche perché fa parte di una spiritualità altamente sviluppata e netta che l’artista coltiva nel suo carattere, con la sua personalità effettivamente notturna, schiva, solitaria, che ricerca il mistero e che si appassiona di nuovi modi di intendere la vita oltre il materiale, mischiando continuamente il proprio quotidiano alle nuove scienze spirituali ed esoteriche. Ma a rendere unico il tipo di operazione e anche quello che potrebbe essere definito un suo difetto visivo e che in questo caso lei però un indispensabile supporto.

La sua pupilla vede le fonti di luce sdoppiate e grazie a questo focalizza in modo migliore nel buio e ha una visione diversa rispetto alla nostra sulle fonti di luce, accentuando la visione magica che le sue opere formano e creando un immaginario dove è evidente un tipo di concezione diversa dell’uso della luce e del buio in confronto a chiunque altro. La luminosità viene dosata con un tatto superiore alla media e la maggiore sensibilità dell’artista verso questo tipo di energia e materia la rende ancora più forte di quanto già non sia, dandole la possibilità di creare una trama e un tessuto di se stessa.

Parlando della sensazione quasi unica che la sua vista particolare le consente di avere e del rapporto che questa sviluppa con il suo lavoro, l’artista ha ideato un quasi motto: “L’opera è la mia frequenza”, ispirandosi un po’ a quello che il suo maestro, Emilio Vedova, ripeteva spesso: “L’opera è il mio respiro”. Il termine usato da Grazia Azzali è però ancora più significativo in quanto riesce ad andare oltre a un rimando poetico e diventa un fenomeno fisico nel senso scientifico del termine: la luce è un’onda elettromagnetica e in quanto tale si identifica proprio con una frequenza. Quindi l’opera finale è in effetti la sua luce, il suo modo di filtrarla e concepirla, una modalità di ricerca di senso nel mondo, cercando un’illuminazione che dipani il buio della conoscenza umana.


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