Il volo del drago

Il volo del drago

by Andrea Valleri, Venezia 2006
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Le recenti opere di Grazia Azzali confermano la sua propensione alla pittura trasfigurativa, fatta di costruzione e decostruzione dell’immaginario simbolico. La propensione di fondo rimane quella della negazione di ogni descrizione naturalistica, in vista di uno slancio spiritualistico, dove il segno grafico ed il colore mostrano la preminenza del linguaggio rispetto alle astrazioni strutturali.

Questa fondamentale preminenza del linguaggio va intesa in senso universale, al di là della schematica riduzione di esso alla semplice componente discorsiva. Infatti, l’opera d’arte, secondo l’istanza strutturalista ben corrisposta da quella neoplastica, tende ad obbedire in una pratica compositiva contenente la sua intrinseca ragion d’essere è fatta di aderenza a delle formulazioni canoniche o più semplicemente a delle regole; perciò il principio della sua unità rimane estraneo al soggetto creatore.

Grazia Azzali, viceversa, secondo un punto di vista ermeneutico ben corrisposto nell’istanza espressionistica, organizza il segno sulla superficie del quadro secondo il principio della preminenza della determinazione storica. Infatti capita spesso che ci troviamo nella impossibilità di esprimere in parole l’imponenza delle opere d’arte, in virtù della loro abbreviazione intuitiva; ma purtuttavia la capacità di comprensione dell’opera tende ad andare oltre le convenzioni che regolano la comunicazione, cioè dipende da fattori metaconvenzionali.

Questi fattori nelle opere di Grazia Azzali sono sintetizzati negli immaginari simbolici che costituiscono la figurazione: angeli, cavalieri… figure prive di connotati somatici e spessore naturalistico, figure costruite attraverso la fluida convergenza del colore ed in assenza di un impianto geometrico predeterminato.

La matrice espressionistica fondamentale si arricchisce di tale effetto simbolico e, nel contempo, supera la tradizionale istanza alla deformazione, perché appunto l’espressione non costituisce una seconda esistenza, bensì conserva un implicito spessore ontologico fatto di spiritualità. Non esiste nessuna rappresentazione e nessun rinvio ad un mondo esterno agli angeli stessi ed ai cavalieri dipinti sulla superficie del quadro, in quanto essi sono effettivamente i fecondi apparati semantici che, attraverso tutta la loro portata simbolica, danno vita alla preminenza del linguaggio in senso lato.

Nel qual caso si può dunque parlare di un linguaggio fatto di segni e di colori che non è per nulla ingabbiato nelle regole compositive dello stile: contro le regole del metodo, contro lo stile, contro le tendenze delle avanguardie e neoavanguardie, contro la geometria… l’immaginario simbolico si impone nella sua radicale apertura di senso dell’essere. Si tratta in fondo di una scommessa: che esso abiti nello spirito piuttosto che nella materia.

Si tratta di una scommessa, in quanto consiste in una visione del mondo che determina il mondo stesso, del pari di quanto il punto di vista opposto permette di stabilire che la composizione neoplastica sia fatta di punti, linee, strutture, proporzioni… è una scommessa avvincente, in quanto elimina ogni dualismo tra il dentro ed il fuori dell’animo dell’artista e dello spettatore: non c’è nessun mondo dietro il mondo degli angeli, dei cavalieri, degli immaginari simbolici; esiste una sostanziale convergenza proprio tra l’immagine, l’immaginario e la realtà dello spirito.

Da tale scommessa sorge anche la parentela del linguaggio dell’arte con il linguaggio del sacro e con il linguaggio dell’affettività. Il mondo dei sentimenti ed il mondo del sacro offrono all’arte una analogica apertura di senso e permettono di rendere visibile l’invisibile. Ecco perché si è affermata l’attinenza con la tradizione storica: si tratta appunto di un percorso sui solchi del mondo bizantino e postbizantino, percorso criptico e alternativo alla imbiancatura iconoclasta della tradizione nordica. Appunto nella tradizione Grazia Azzali riscopre le caratteristiche componenti della figurazione, quali sono l’armonia delle forme e l’equilibrio compositivo, vale a dire la strada maestra che la conducono fuori della deformazione espressionistica verso nuove mete.